martedì 31 dicembre 2013

Morte

Ed oggi dunque concludiamo l'anno parlando di morte.
Ogni volta che parliamo di morte parliamo di vita poiché la morte e la vita sono due facce della stessa medaglia. Tutto e tutti muoiono, a volte è difficile dire quando ma in compenso non è affatto difficile dire se.
La morte nella cultura occidentale è un tabu, influenzati dal cinema di Hollywood, dal delirio razionalistico anglosassone, dalla vita comoda, dal tutto e subito, siamo incapaci di accettare la morte che teniamo lontana a tutti i costii.
Certo ci sono stati momenti in cui, per una forma di degrado sociale e civile, la parte più debole della popolazione veniva consapevolmente sottoposta dai ricchi a rischi irragionevoli in quanto la loro vita era, di fatto, mercificata ad un valore molto basso.
Ma c'è stato anche un momento, e questo credo si possa far risalire a prima della rivoluzione industriale borghese, in cui la morte era sicuramente più presente di ora ma non era un'imposizione conseguente ad un abuso.
Il fenomeno di riflesso che questo aveva sulle persone era che esse crescevano in un ambiente dove badare a sè stessi ed alla propria incolumità personale era un'esigenza quotidiana. Non avevano bisogno di rivolgersi alle forze armate per ogni cavolata, non si sentivano costantemente minacciate in quanto erano consapevoli del rischio reale connesso al compimento di qualsivoglia azione.
Per questi motivi, a differenza di come concepiamo oggi la vita, morire era un'opzione sempre presente ed accettabile. Ma noi abbiamo una visione distorta di questo concetto e parlarne oggi in questi termini corrisponde ad una posizione assai impopolare e discutibile.
Perché faccio questo discorso?
Semplice: le persone hanno perso la capacità di rischiare e, con essa, la capacità di mettersi in gioco.
L'uomo occidentale è debole, capriccioso, indolente, ha sostituito la sua forza, il suo onore e la sua dignità con una costante lamentela ed indignazione per le cose che lo circondano e vanno male.
Ma per sovvertire questo stato cosa fa? Niente, non ci prova nemmeno.
Ma come possono le cose andare bene se in un intero popolo non esiste una persona capace di accollarsi il rischio di fare qualcosa?
Io spesso continuo a rimanere sorpreso quando vedo persone che conosco più o meno bene e da anni, che rimanono spiazzate se perdono un treno, se non trovano un particolare bene o servizio ... ma alcuni addirittura sono capaci di rimanere spiazzati anche se, pur trovando ciò che cercano, non è come avrebbero voluto. Addirittura rimanerci male se ciò che hanno ottenuto era quanto più vicino a ciò che cercavano ...
Quelle di cui sopra potremmo definirle "persone messe bene", figuriamoci dunque quelli il cui più grande problema è avere l'ultimo vestito, l'ultimo taglio di capelli, l'ultimo modello di cellulare ...
... e mi fermo perché mi sta prendendo un attacco di orticaria fulminante.
Diciamo che nella scala di sopportazione dell'individuo occidentale quelli descritti sono i due estremi:
  1. a sinistra troviamo coloro che sopportano un po' di più e che si assestano su valori di indolenza medi
  2. a destra quelli della messa in piega ovvero quelli che sono a mio avviso malati patologici e che si assestano su valori di indolenza molto alti
Allora penso: ma se queste persone si trovassero senza una o più di queste cose per lungo tempo, non necessariamente in una situazione di emergenza (tipo Olbia all'indomani dell'alluvione appena occorsa per intenderci) ma anche in situazioni migliorative rispetto a queste però egualmente preclusive?
Chessò immaginiamo che per un qualche motivo ci fosse carenza di qualche materia prima per cui mancassero generi di non primaria necessità, quelli del limite destro descritto sarebbero già in stato di emergenza.
Se poi anche i generi di prima necessità iniziassero ad essere incostanti in qualità o tempi arriveremmo all'allarme generale. Ma la verità è che prima di correre rischi tangibili sarebbe necessario arrivare ad una situazione anche peggiore.
La maggior parte delle persone che conosco ad esempio si trova in difficoltà in campeggio, ma non accampati in mezzo al nulla, dico proprio nel campeggio attrezzato dove c'è internet, TV, bar e acqua calda.
La cosa grave è che appunto il limite sinistro dei livelli di indolenza dei membri di questa società è comunque un valore medio alto. Non conosco infatti nessuno che abbia veramente i nervi saldi, e per veramente intendo VERAMENTE, non voglio sentire parlare di certificati o pareri psicologici di luminari talmente illuminati che si perderebbero a seguire un faro segnaletico da 10 metri dallo stesso.
Quello che intendo io quindi non è tanto accennare un nefasto pronostico di calamità naturali, quanto più osservare che se il tuo livello di disagio è dato dalla mancanza del bar difficilmente potrai occuparti di qualunque cosa che come livello di difficoltà superi il ramazzare la stanza.
E probabilmente, se ti trovi in detta condizione, il giorno che dovrai sostituire la scopa perché consumata, dovrai chiamare il tecnico che la svita.
Ma il tecnico che la svita cos'è un alieno? Vabbè di questo ne parlerò in un'altra bloggata, quello che mi interessa ora è focalizzare l'attenzione sul come questo comportamento sia invero una forma di paura della morte.
L'indolenza e la paura della morte hanno tante cose in comune, a cominciare dal controsenso apparente che la morte è al contempo una cosa naturale ma il desiderio di vivere, e quindi di sfuggirle il più a lungo possibile, lo è altrettanto.
Vivere o morire è sempre un qualcosa di subordinato ad una decisione contingente, che si ripresenta giorno per giorno, attimo per attimo.
Certo, a parte qualche istrionico, forse la gente normale non sta li tutto il tempo a pensarci su, nemmeno io se è per quello lo faccio, però fattivamente è così, potete notarlo da soli se fate una retrospettiva di qualunque cosa vi sia accaduta negli ultimi giorni e capire che in ogni piccola cosa che fate, se contestualizzate il suo senso molto alla lunga e lo collocate in prospettiva, quella cosa la fate perché state rifuggendo la morte, qualunque cosa essa sia.
Ed anche nell'indolenza c'è questa stessa diatriba sebbene sia spostata tra l'agire e il non agire, il sopportare o non sopportare, accettare o non accettare, adempiere o non adempiere ecc.
Di fatto, accettare di agire ti avvicina leggermente alla morte, sopportare idem. E questo dipende dal fatto che se accetti di agire e sopportare ti sottoponi ad un rischio, non importa quanto sia grande, il rischio ci assoggetta ad un margine di indeterminazione che, a seconda che sia più o meno ampio, ci avvicina "poco" o "tanto" alla morte, che però rifuggiamo.
E' per quello che come dico sempre chi non sopporta il troppo caldo o il troppo freddo, chi non sopporta il rumore, chi non sopporta la noia, chi non sopporta di rinunciare alle comodità, di fatto, ha paura di morire.

Ma dove sta il nocciolo di tutto questo discorso?
Nel fatto che non possiamo non ammettere che l'indolenza sia a sua volta una forma di morte.

La natura infatti non perdona, la morte in particolare non lo fa, la ignori? E lei torna in una forma anche peggiore ...

Allora l'indolente cosa fa, nel rifuggire la tanto temuta morte, neanche a farlo apposta, se la ritrova li, addosso.
Onestamente: quanto è morto un indolente rispetto a qualcuno che non lo è?
Per questo vita e morte sono due aspetti così legati assieme, così strettamente vicini. Se per vita intendiamo quell'intervallo tra quando nasciamo e quando si spegne il nostro corpo, dobbiamo necessariamente convenire che essa si svolge caratterizzata da una lunga e ripetitiva alternanza di momenti in cui sfiori la morte e torni al sicuro da essa.
Sfiori la morte ogni volta che accetti il rischio, la sofferenza, la sopportazione, con lo scopo di ottenere qualcosa che ti serva per andare avanti e sopravvivere, e ritorni alla vita calma e sicura ogni volta che porti a casa il trofeo del tuo rischio, che è tanto più di valore quanto più hai rischiato.
Se dovessi definirla operativamente come dicono gli ingegneri: vita e morte sono gli estremi dei due stati che, opportunamente alternati, generano la sopravvivenza.
Ma questo non è forse l'esatto opposto di quello che fa l'indolente il quale rifugge proprio l'alternanza?


La morte è la nostra eterna compagna.
E' sempre alla nostra sinistra, a un passo di distanza. Ti è sempre stata a osservare. Ti osserverà sempre fino al giorno in cui ti toccherà.
Come ci si può sentire tanto importanti quando sappiamo che la morte ci da la caccia? La cosa da fare quando sei impaziente, è voltarti a sinistra e chiedere consiglio alla tua morte.
Ti sbarazzi di un’enorme quantità di meschinità se la tua morte ti fa un gesto, o se ne cogli una breve visione, o se soltanto hai la sensazione che la tua compagna è lì che ti sorveglia.
La morte è il solo saggio consigliere che abbiamo. Ogni volta che senti, come a te capita sempre, che tutto va male e che stai per essere annientato, voltati verso la tua morte e chiedile se e vero; la tua morte ti dirà che hai torto; che nulla conta veramente al di fuori del suo tocco. La tua morte ti dirà: "Non ti ho ancora toccato".
Devi chiedere consiglio alla morte e sbarazzarti delle maledette meschinerie proprie degli uomini che vivono come se la morte non dovesse mai toccarli.
Tu ti senti immortale, e le decisioni di un uomo immortale possono essere cancellate o rimpiante o dubitate. In un mondo in cui la morte è il cacciatore, non c’è tempo per rimpianti o dubbi. C’è solo il tempo per le decisioni.
Non importa quale sia la decisione, Non c'è cosa che sia più o meno seria di un’altra. Non capisci? In un mondo in cui la morte è il cacciatore non ci sono decisioni grandi o piccole. Ci sono solo decisioni che prendiamo di fronte alla nostra morte inevitabile.
(Carlos Castaneda - Viaggio a Ixtlan)

Questo è ciò che intendo quando dico che parlare di morte, in realtà, è parlare di vita. E quale migliore occasione di un momento di transizione come la fine dell'anno, dove vita e morte si incontrano così da vicino, per parlarne?

A tutti un 2014 pieno zeppo di vita e di morte!

lunedì 30 dicembre 2013

Distopie moralistiche mistificatorie

In questi giorni ho riflettutto molto, oltre ad avere deciso di aprire un mio blog alla luce del fatto che le mie idee, per quanto visionarie, spesso si rivelano sensate... ed è sulla falsa riga di un commento distopico, a proposito di un uso moralistico di internet, che la materia grigia si è messa al lavoro e mi ha fatto riflettere sulle possibili conseguenze di una simile distopia.
Internet è un mezzo potente, se fosse un'automobile sarebbe un'auto sportiva, di grossissima cilindrata, difficile da guidare e manovrare, eppure la stragrande maggioranza delle persone c'è finita dentro come se fossero tutti dei grandi piloti. Inutile dire che la strada è diventata un fronte di guerra sanguinario da quando questo succede.
Certo se te ne stai a cazzeggiare su facebook non puoi dire di essere propriamente un internauta, la maggior parte degli utenti di facebook infatti sono solo persone in cerca di gloria che hanno l'illusione di avere il mondo a portata di mano perché, di fatto, quello che scrivi è accessibile a tutti i tuoi amici. Ma è un'illusione appunto, non succede veramente.
La cosa agghiacciante è che dai social network emerge la dappochezza della condizione culturale contemporanea: le persone si dimostrano completamente incapaci di produrre opinioni o contenuti ragionati, sono capaci solo di cliccare "mi piace" su qualcosa di già fatto, già detto, standard insomma. Se scrivi due righe di troppo nessuno legge e gli utenti che creano contenuti originali sono davvero rari.
Io trovo agghiacciante che nell'epoca della comunicazione, dove comunicare è facilissimo, nessuno abbia niente da dire. Pettegolezzi, cattiverie, critiche, insulti, per quelli c'è sempre spazio ma per discussioni serie rimangono le briciole e spesso nemmen quelle.
Eppure la sensazione che ho quando penso a questo stato aberrante della condizione culturale non mi stupisco, non vedo niente di nuovo .... chissà perché ...
Ci sono!
E' quello che succede tutti i giorni nella vita quotidiana fuori da internet. 
Ecco spiegata la sensazione di DejaVu

E' da oltre un ventennio che sostengo che l'intelligenza media umana sia alzata da pochi eclettici, questo fondamentalmente comporta che, sebbene il quoziente intellettivo medio sia 100 (ed è una convenzione assumere 100 punti per la media) la maggior parte delle persone hanno un QI inferiore.
Questo parametro in statistica è detto moda e rappresenta non il valore medio del fenomeno bensì il valore che si presenta più spesso.
La maggior parte degli individui sono "subnormali" per prendere in prestito un termine coniato da Ugo Tognazzi in un simpatico film. Cosa possiamo aspettarci dunque da una massa subnormale?
Semplice: la maggior parte delle persone saranno incapaci di comprendere concetti che, per una persona di QI 100, sono considerati accessibili.
Cosa fa quindi il subnormale?
Nell'impossibilità di capire ciò che lo circonda penserà che ci sia una qualche caballa, un qualcosa di incomprensibile che gli farà vedere tutto in bianco e nero, vedrà solo cose buone e cose cattive, cose normali e cose magiche, gente buona e gente cattiva, scelte giuste e scelte sbagliate.
Quando dovrà decidere cosa comprare comprerà quello che comprano gli altri dando origine ad un fenomeno che appunto è detto moda.
Quando dovrà decidere cosa gli piace lo farà in base a quello che fanno le persone che frequenta. Per questo deciderà di tifare una squadra di calcio di una città dove non è nemmeno mai stato in visita.
Praticherà lo sport praticato dal suo vicino di casa e dunque, se esso fa spinning probabilmente si iscriverà nella sua palestra, se invece non pratica sport e va a caccia probabilmente comprerà gli stessi fucili e si farà condurre nello stesso luogo, oppure se fa pesca comprerà le stesse canne da pesca ed andrà a pescare negli stessi posti.
La stessa cosa succederà quando andrà al voto, incapace di comprendere i programmi elettorali, quando dovrà dare la propria opinione sarà completamente incapace di fornire una propria posizione ponderata sulla realtà se nella sua esperienza di vita non c'è qualcuno di cui si fida che l'abbia già espressa.
Per questo sceglierà il suo orientamento politico con le stesse modalità della palestra e della squadra di calcio, ma non sarà questa la peggiore mediocrità commessa.
Prima o poi troverà qualcuno che gli parlerà di fede, se non ha già subito un imprinting deformante fin da bambino, ma difficilmente sarà capace di abbracciare una cosa complessa come una scala di valori, per questo preferirà credere alle superstizioni e per lui la religione non sarà un insegnamento antico ed universale, complesso e pieno di saggezza ma sarà l'insieme dei pregiudizi della sua famiglia e dei suoi amici.
E quando ti vedrà agire nella vita quotidiana si sentirà in diritto di criticarti sterilmente in nome di un dio fasullo, che non è quello che dice di predicare, ed ogni volta che gli farai notare che ciò che sostiene di predicare è qualcosaltro che nulla ha a che vedere con ciò che dice ti attaccherà violentemente perché stai destabilizzando le sue fragilissime convinzioni.
Questo genere di individui, se cristiano, si limiterà a condannare il sesso, il turpiloquio ed in generale a comportarsi come una maestrina d'asilo con in mano una matita rossa e blu con la quale il suo massimo obiettivo è paragonabile al livello culturale che potrebbe avere un bambino ai primi anni della scuola elementare.
Se per qualche motivo invece si sentisse "in controtendenza" potrebbe invece arrivare a tirare fuori le solite cavolate newage che sono in definitiva un cocktail tra cristianesimo, scienza mistificata, ipocrisia e buonismo forzato politicamente corretto. E saltano fuori scie chimiche che fanno rimbalzare il segnale dell'HAARP col quale gli americani, in combutta con gli alieni, fanno venire il terremoto in Emilia.
Ma è sempre e comunque lo stesso meccanismo applicato a livelli di ignoranza e fattispeci differenti.
Questo meccanismo io lo chiamo distopia moralistica mistificatoria. Questo per i seguenti motivi:
  • distopia perché il risultato complessivo è qualcosa di indesiderabile
  • moralistica perché contiene una morale fatta di pregiudizi scontati da scuola elementare
  • mistificatoria perché la realtà, anche se è sondabile con l'impiego di conoscenze di media entità, viene sostituita con una versione mistificata della stessa che viene difesa a spada tratta chiudendo le porte ad ogni possibile ragionamento o discussione
Queste persone vanno a senso unico, per loro è tutto già deciso, predeterminato, a patto che si tratti degli altri: 
  • loro sono sempre sfortunati, ingiustamente accusati, vittime, deboli 
  • la colpa è sempre e solo degli altri che sono cattivi e collusi con alieni/nuovo ordine mondiale/americani/bildeberg/papa/altro specificare
Sono forcaioli con gli altri ma i primi ad essere criminali:
  • se si tratta degli altri vanno bene multe, carcere, pena di morte, pubblico ludibrio, violazione di privacy, perquisizioni anali, confische ecc.
  • se si tratta di loro invece il vigile è corrotto, il carcere è troppo, i diritti civili sono stati violati, hanno subito grave diffamazione, è stata violata la privacy, possono tenere in casa tutte le bombe atomiche che vogliono e viaggiare con 6Kg di coca nel culo perché è la polizia di frontiera ad essere troppo intransigente
Ipocriti:
  • si vanno a confessare la domenica mattina in chiesa per i bambini che hanno violentato durante la settimana ma legano il figlio al letto perché sennò si fa le seghe
  • tu sei un peccatore perché hai letto l'oroscopo o hai detto una parola voglare per scherzare o hai ammesso che ti piace sessualmente qualcuno/a

In altre parole, quando pensano agli altri dicono: "Mentre noi siamo belli e intelligenti loro no, loro sono brutti e stronzi."

Questa gente è la fiera del sincretismo facile:
l'anarco-fascio-catto-comunismo newage, fate l'amore non fate la guerra, gli alieni arriveranno e porteranno la pace ma sono dei bastardi perché hanno fatto il signoraggio, l'haarp e corrotto Obama e il Papa ma tanto senza di loro siamo finiti quindi che vengano però brutti stronzi lo so che le scie chimiche le fate voi adesso lo dico alla maestra. 
Il problema più grave è che quando arrivano verso la trentina ormai non li sposti più, si incancreniscono su idee bislacche e si sentono sempre in diritto di correggere con la penna rossa e blu ogni tentativo di ripristinare un dialogo costruttivo e di osservare la realtà fattiva.
Riflettevo dunque sul fatto che queste persone sono già li, ci sono sempre state, imperversano, gli abbiamo lasciato dominare il mondo, a volte siamo come loro. Per cui dov'è il vero problema? Siamo sicuri che ci sia o è illusorio?

Cosa succederà quando queste persone arriveranno su internet?
Niente, ci sono già.

Cosa succederà quando queste persone arriveranno al potere?
Niente, ci sono già.

Cosa succederà se ci sarà una guerra di morali?
Niente, la storia è costellata di millenni di guerre per gli ideali ma nessuno è mai riuscito a capire se esista un ideale valido.

Cosa succederà se tramite i social network i datori di lavoro possono decidere prima se gli stai o meno sul cazzo?
Niente, adesso si limitano a decidere se gli stai sul cazzo durante la mezzora del colloquio, quasi quasi è meglio se lo vedono in dettaglio.

Cosa succederà se attraverso la globalizzazione portata da internet la gente si renderà conto che la guerra morale è sterile?
Io non sono ottimista a riguardo, ma chi visse sperando morir non si può dire: chissà che almeno non capscano che il 99% dei problemi sociali sono dati proprio dall'accettare forzatamente chi ti sta sul cazzo ed escludere chi è leale, e quel giorno, forse, chissà che non capiscano che per stare bene hanno bisogno di una comunità compatta, che una comunità compatta per essere vivibile deve essere piccola, che una comunità piccola è debole e quindi tutte le altre comunità sono nemici verso i quali gli scrupoli morali sono un lusso.

Io nel frattempo però non garantisco di non prendere a pugni sui denti qualche anarco-fascio-catto-comunista newage.